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venerdì, Marzo 29, 2024

Hannah Arendt – Vita activa

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Sempre attuale la lettura di quest’opera che permette di riscoprire l’impegno di una grande donna nella sua lotta per la libertà. La passione per lo studio e per la vita sono tratti del suo carattere che la rendono sorprendente e interessante.

Hannah Arendt, ebrea di nascita (1906-1975), dal temperamento indipendente e forte, ha trovato nelle sue radici, la forza per lottare contro un totalitarismo che annovera tra i suoi principi l’intolleranza, l’arroganza, lo strapotere, la mancanza di ogni senso di umiltà, riducendo la pluralità all’Uno.

A questo tipo di società, Hannah Arendt contrappone l’ideale di una vita attiva che trova il suo ambito nello spazio pubblico, nella politica.

Una politica, quella della Arendt, legata non più al concetto di dominio-corruzione, alle questioni economiche e sociali, poiché è impossibile -sostiene l’autrice- politicizzare l’economia -intesa nel suo valore originario, ovvero di amministrazione della casa come sfera domestica.

La politica è lo spazio del discorso, dello stare insieme, della praxis, della libera iniziativa umana, in cui ognuno può esprimere il proprio punto di vista senza però irrigidirsi, e si confronta con gli altri riuscendo a non conformarsi.

In tal senso, l’autrice introduce il concetto di natalità, non alludendo al semplice fattore biologico ma riferendosi a una rinascita intesa come nuova esperienza che l’individuo raggiunge con la parola e con l’azione intervenendo nello spazio pubblico. Allora, il nascere, come nuova categoria filosofica, significa essere-tra-gli-uomini e il parlare e il discorso sono gli strumenti della rinascita che ci rende unici, sì, ma rispetto alla pluralità umana.

In quest’opera, Hannah Arendt individua le tre attività che compongono la vita attiva:

– l’attività lavorativa, che assicura all’uomo la propria sopravvivenza non solo individuale ma anche della sua specie e a cui corrisponde l’uomo di tipo animal laborans;

– l’operare, cioè l’insieme di artefatti di cui l’uomo si circonda per vivere e operare nel mondo, per dare permanenza alla sua vita sulla terra e a cui corrisponde il tipo homo faber;

– l’agire, che per Hannah Arendt rappresenta una “esclusiva prerogativa dell’uomo” e che “né una bestia, né un dio ne sono capaci, ed essa dipende interamente dalla costante presenza degli altri”.

Hannah Arendt individua proprio nell’azione la sola attività che mette in relazione gli uomini fra loro senza la mediazione di cose materiali. Essa corrisponde alla pluralità, cioè al fatto che gli uomini e non l’uomo, vivono sulla terra abitando il Mondo, che “non si identifica con la terra o con la natura, come spazio limitato che fa da sfondo al movimento degli uomini e alle condizioni generali della vita organica”.

Vivere insieme nel mondo significa, sostiene Hannah Arendt, che “esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno, il mondo mette in relazione e separa nello stesso tempo”.

All’azione, dunque, corrisponde il tipo umano attivo nelle antiche polis greche definito da Aristotele zoon politikon.

Hannah Arendt, partendo proprio dal significato originario del termine agire, accusa la società moderna di averne tradito il significato più profondo. Dal XVI secolo è, infatti, prevalsa la techne. Il theoréin passa allora dalle mani del filosofo a quelle dello scienziato e il fare-agire diventa uno strumento della techne e dell’utilità.

Oggi, l’individuo democratico, tende a consumare beni che fino a poco tempo fa occorrevano soltanto per l’uso, beni d’uso che si trasformano in beni di consumo determinando quel carattere di irrefrenabile artificiosità del mondo contemporaneo in cui l’uomo risulta “emarginato e inglobato” nello stesso tempo.

Si pensi all’industria: ha bisogno sempre più di macchine che di uomini. Con quali rischi? Uno dei tanti è sicuramente quello che l’uomo rimanga irretito dentro la techne al punto che un giorno anche le “progettazioni”, per esempio, saranno prese in toto dal computer.

È chiaro che tanti sono i messaggi del pensiero filosofico e politico della Arendt: l’invito a promuovere lo sviluppo di un “pensiero libero, creativo, critico”, capace di distanziarsi dalle politiche di addomesticamento e omologazione e l’elevazione da quei disvalori materiali che contaminano il nostro tempo.

Ma, soprattutto, Hannah Arendt ci esorta all’epochè nell’incontro con l’altro, ad aprirci al dialogo, al confronto, distaccandosi, dunque, all’immediatezza del nostro essere per andare incontro all’Altro che, come sostiene Lévinas, “non posso ridurre a me secondo le mie categorie, affermando la mia sovrana identità, ma quell’Altro, assolutamente Altro, che mette fine alla violenza e che, sempre, mi istruisce, mi mette in discussione in un processo continuo di superamento da me stesso”.

Rosalba Pipitone

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