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sabato, Luglio 27, 2024

L’estate dello studente

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Alle parole “studente” ed “estate”, da quando sono stati aboliti gli esami di riparazione, l’associazione più immediata rimanda, per un verso o per l’altro, al concetto di vacanze. Come spesso avviene, la via mentale più breve e apparentemente semplice è anche la più insidiosa: a ogni modo, è un’occasione singolarmente propizia per dimostrare e applicare una qualità che non dovrebbe mai mancare a un pedagogista, vale a dire un sano discernimento.

Tanto per cominciare, basterebbe considerare che la “vacanza” vera e propria è, per chiunque, di un mese o poco più, in tutto l’anno: comprese le pause per Natale, Pasqua, ponti ed elezioni o referendum vari. Ma, prima ancora, va considerato che ciascuno di noi ha il bisogno essenziale, di formarsi, di maturare come soggetto culturale e relazionale, di darsi un proprio metodo rigoroso di studio della realtà e questo bisogno, così altamente umano e così imprescindibile, non va mai in vacanza.

Si tratta, a ben vedere, di un diritto essenziale, per delineare il quale non occorre nemmeno far ricorso al concetto di “dovere”: se di dovere si tratta, e si tratta anche di questo, è un dovere innanzitutto verso sè stessi.

Non si comincia mai troppo presto. La persona seria, rigorosa, responsabile, corretta, impegnata, che conosce i suoi compiti, se li assume e fa del proprio meglio, la si vede già nella prossima età scolare; mentre è assai difficile, seppur certo non impossibile, recuperare più avanti questi aspetti dell’uomo maturo se sono stati a lungo trascurati.

Abbandonare i figli ai giochi, alla TV o ai videogames, lasciarli dormire a oltranza, omettere insomma di impegnarsi nella loro educazione quando non c’è la frequenza scolastica a supplire, è sicuramente comodo per il genitore-educatore ma per l’educando è un essere deprivato di qualcosa di essenziale, fisiologico alla propria natura.

Non si parla di compiti per le vacanze. Questa è una dizione ingannevole nel suo evocare una sorta di “tassa” pretesa dalla scuola sul bisogno che tutti abbiamo di riposarci, distrarci, ricrearci. La formazione in età scolare necessita di continuità e comporta la previsione degli strumenti appositi anche nel periodo in cui non si fa lezione. Semmai, andrebbe studiato più approfonditamente di quanto non si sia fatto a lungo, quale specificità operativa e metodologica debba avere questo sviluppo dell’educazione centrato sui saperi in periodi di chiusura della scuola. Il mondo dell’editoria e dei sussidi hanno cominciato a dare dei segnali in tal senso; ci vorrà tempo perchè si abbia una dottrina d’uso consolidata ma la strada è quella.

Si tratta, in sostanza, non di riprodurre una sorta di “compiti per casa” o di “scuola bonsai” ma di integrare ad attività ricreative, a esercizio fisico e sportivo e a occasioni relazionali, una congrua sostanza di attività culturali, di studio, di ricerca: queste possono essere state indicate dall’insegnante ma anche i genitori possono individuarne e, gradualmente, dalle medie in poi, questa individuazione compete sempre di più all’alunno stesso.

Il ruolo dei genitori rimane essenziale anche se può rimanere nella maggior parte dei casi discreto e defilato, essi sono chiamati a essere controllori rigorosissimi, senza per questo rinunciare a essere, anche e insieme, una cosa diversa, cioè interlocutori culturali dei propri figli.

In concreto significa che, innanzitutto, la lettura di qualche libro sia unita alla coltivazione di una buona espressione italiana, alla trattazione di contenuti culturalmente significativi. I genitori cercheranno di equilibrare quanto più possibile la narrativa con la saggistica e, nella scelta dei libri di questa seconda tipologia, avranno occasione di applicare un rigore semplice e necessario, individuando quei non pochi libri che su un soggetto scientifico, storico, artistico, fanno in realtà dell’altra narrativa, cioè della saggistica mascherata. E, sia durante la lettura che al termine, il giovane troverà nei genitori i primi interlocutori con i quali discutere di quanto ne abbia potuto ricavare.

La pratica delle lingue straniere va coltivata anche nella vita relazionale quotidiana: per quello che è possibile, e finché è possibile, a cominciare proprio dalla famiglia. Si tratta, per esempio, di leggere quotidiani in lingua straniera, di seguire programmi televisivi in lingua originale –a maggior ragione che oggi l’uso del satellite è diffusissimo, di scegliere la traccia sonora originale dei DVD dove è possibile, magari aiutandosi con i sottotitoli in lingua italiana; e si tratta, soprattutto, di conversare, di parlare delle questioni più consuete in Inglese, Francese, Tedesco, insomma nelle lingue studiate dai figli.

I genitori sceglieranno con i figli, nel mezzo dell’oceano della programmazione televisiva oggi offerta, e assieme ai programmi ricreativi che nessuno mette in discussione, anche una congrua percentuale dei tanti ottimi programmi di Geografia, di Storia, di Scienze, di Arti Figurative, di Musica, di Attualità; e poi, ovviamente, ne discuteranno, ne rielaboreranno i contenuti, in modo che possano farli propri insieme.

Le edicole traboccano di CD-ROM e DVD di grande qualità culturale. Anche qui, assieme a tanti giornali e giornaletti, rotocalchi e riviste che interessano l’uno o l’altro familiare, un acquisto mirato va fatto di comune accordo tra genitori e figli.

La serietà, l’impegno, ma anche il sincero attaccamento alla cultura, la consapevolezza del proprio valore attraverso la conoscenza, vanno prima di tutto testimoniati dai genitori perchè possano essere oggetto di educazione nei confronti dei loro figli. La base culturale è, all’inizio, largamente comune tra genitori e figli, e l’interlocuzione culturale rimane e può rafforzarsi con il tempo. Il genitore che parla con i suoi figli dei libri che leggono, degli argomenti di Storia o di Scienze che hanno studiato, che risponde e dialoga in lingua straniera, eventualmente anche imparando insieme a loro, che commenta gli esercizi di matematica o di lingue o di scienze, che discute l’articolo di giornale o il programma culturale che essi hanno visto, è un genitore che affronta con armi potenti le nuove sfide dell’educazione che gli vengono poste dalla realtà socio-culturale odierna.

La dimestichezza con la cultura si forma più a casa che a scuola, e con entrambi i genitori. Questa interlocuzione culturale deve tendere a pervadere tutto il periodo estivo come, del resto, tutto l’anno.

Infine, alle settimane di fine agosto-inizio settembre, andrebbero lasciati solo gli approfondimenti, gli affinamenti e un riepilogo generale.

Dipende sempre e tutto da come i genitori stessi hanno strutturato l’estate e da che ruolo hanno i figli nel loro progetto di vita.

Rosalba Pipitone

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