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martedì, Novembre 12, 2024

Torti e tormenti dell’Inquisizione Antimafia

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“Quando prevenire è peggio che punire. Torti e tormenti dell’Inquisizione Antimafia”, è il il titolo del volume -Reality Book, Il Riformista-  a cura di Pietro Cavallotti, Lorenzo Ceva Valla e Miriam Romeo, con la prefazione di Sergio D’Elia, iniziativa nata dall’associazione Nessuno tocchi Caino con l’obiettivo e finalità di affrontare il tema degli scioglimenti dei Comuni per infiltrazioni mafiose raccontando storie di imprenditori estranei alla mafia e “condannati” da informazioni interdittive e misure di prevenzione Antimafia. Il libro è dedicato dell’imprenditore gelese Rocco Greco, classe  1962, titolare della Cosiam S.r.l. e leader degli imprenditori Antiracket di Gela.

Greco si tolse la vita con un colpo di pistola alla tempia il 27 febbraio 2019 per essere stato accusato di aver avuto rapporti con la mafia, dopo aver denunciato nel 2007 i boss di Cosa Nostra e della Stidda e dopo aver pagato per anni il pizzo.

Greco fu assolto dal Tribunale ma fu escluso dalla Prefettura dal fare impresa, e nella motivazione della SISMA (Struttura di missione e prevenzione antimafia), si legge che Greco ha avuto, oltre a rappresentare anche un ipotetico rischio di infiltrazioni mafiose nella società, “atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese“.

È del febbraio 2019 l’ultima interdittiva Antimafia con la quale all’azienda di Greco vennero revocate tutte le commesse pubbliche e private con il conseguente licenziamento di 50 operai, e nonostante  gli innumerevoli ricorsi, il Tar di Palermo non concesse la sospensione dell’interdittiva “privilegiando” le calunnie dei boss.

Nel 2020 arriva quella che sembra essere una beffa: la riabilitazione postuma di Rocco Greco, che senza ombra di dubbio restituisce onore ma non cancella l’onta del sistema Antimafia che con l’applicazione di alcune normative ha di fatto depennato sacrosanti diritti un tempo ritenuti intoccabili.

È proprio questo l’intento dell’associazione Nessuno tocchi Caino, cui principale obiettivo è l’attuazione della moratoria universale della pena di morte e più in generale la lotta contro la tortura: quello di un cammino di speranza  tra le città italiane, in questo caso specifico attraverso la Sicilia, Calabria e la Puglia, riabilitare la dignità e la certezza del diritto. Numerose sono state le testimonianze raccolte di soggetti che hanno subìto ingiustamente misure di prevenzione, e socialmente i veleni dell’infamante cultura del sospetto: “Nella logica del sospetto che presiede al sistema delle misure interdittive e di prevenzione antimafia -afferma Sergio D’Elia- non importa che vi sia prova di un reato specifico, di una partecipazione diretta o di un qualche concorso esterno riconducibili a una associazione mafiosa, è sufficiente che il Prefetto intraveda il rischio eventuale o faccia una sua personalissima prognosi di condizionamento o infiltrazione mafiosa in una azienda per decretarne la morte. Dallo Stato di Diritto allo Stato del Prefetto, questo è avvenuto nel nostro Paese, celebrato come la culla del diritto, divenuto la tomba del diritto”.

Altro obiettivo dell’associazione è l’abolizione dell’ergastolo ostativo per mettere fine alla legislazione scatenata dalla strategia stragista dei boss di Cosa Nostra con le bombe degli anni 1992-1993.

Una battaglia che non rappresenta un “lasciapassare” ma la garanzia dei diritti perché, come ben spiega Sergio D’Elia, il rischio è che si faccia passare per democrazia un Regime: “Quando uno stato di guerra e di emergenza dura da oltre un quarto di secolo -dice D’Elia- se è vero com’è vero che la durata è la forma delle cose, quello stato diventa, tecnicamente, un Regime. Illiberale, antidemocratico, violento. Il regime fascista di emergenza, in fondo, è durato solo un Ventennio. Il regime democratico di emergenza Antimafia dura ormai da un Trentennio”.

Rosalba Pipitone

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